Quanto può pesare l’assenza di un gatto
in una casa in cui ha vissuto per sedici anni?
Pesa talmente tanto che il corpo e la mente soccombono alla contraddizione
che incorona vincitrice la seconda.
Perché l’amata abitudine spinge il corpo a cercarlo nelle stanze in cui era solito dormire
salvo poi essere corretta dalla mente
che gli fa fare dietrofront perché in quelle stanze non c’è più.
Perché perfino gli occhi saettano inconsolabili
in cerca di movimenti sulle sedie o sui davanzali
ben sapendo che incontreranno solo aria.
Pesa quanto il doloroso silenzio che denota la mancanza delle fusa,
sottofondo immancabile delle lunghe partite a carte
che ora proseguono veloci e senza alcuna invasione di campo.
Solo il nome muore in gola prima di giungere alle labbra
perché la voce sa
che nessuno giungerà anche se chiamato.
E si rassegna a vivere lì, relegato nel pensiero, nello spazio di un ricordo
che ancora commuove a distanza di giorni.
E vivrà per sempre lì, vivido e quasi palpabile, nell’alveo della memoria dura a morire
che lo terrà in vita a dispetto di ciò che la mente sa e non può dimenticare.
Ma se a tentare di ingannarla è il cuore,
allora sarà lei quella che alla fine dovrà soccombere.
O almeno glielo auguro.