Dove c’è gusto non c’è perdenza

Sarà scontato, ma se lo fai quando sai che non dovresti farlo il gusto provato aumenta, oserei dire che raddoppia.

Si tratta del piacere della trasgressione, sperimentato da tutti, ma non da tutti ricercato poiché, grande o piccola che sia, quando infrangiamo le regole dentro di noi si disputa un duello fra libidine e senso di colpa.

Per quelli che incoronano vincitrice la prima, il divieto costituisce quasi un obiettivo cui puntare al solo scopo di infrangerlo e godersi così il brivido emozionale che ne consegue. Coloro che vengono annichiliti dall’idea del peccato prima, e dalla consapevolezza di averlo commesso poi, fanno della rettitudine la propria arma di difesa. Rei e bigotti? Viziosi e intolleranti? Qual’è la giusta dicotomia? E soprattutto, chi è peggio avere accanto?

Qualunque persona minimamente responsabile risponderebbe che il miglior esempio sono i secondi.

Senza dubbio le regole stanno alla base di ogni società civile, eppure non si può fare a meno di notare che una costante osservanza è impossibile. Nessuno riuscirebbe a rigare dritto in ogni singolo aspetto della propria vita, altrimenti che gusto ci sarebbe?

 

Se poi si tratta di autoimposizioni, beh… lì la questione si fa critica. Sarebbe necessario indagare sulla genesi della prepotenza del caso per capire se quella determinata imposizione ha senso di esistere perché ammettiamolo, si tratta di vere e proprie angherie nei confronti di noi stessi quando ci obblighiamo ad evitare l’ora di sonno, di gioco, di tv in più oppure l’ennesimo peccatuccio di gola.

Si rende dunque necessario operare una distinzione fra sfera personale e sociale, poiché scegliendo di vivere in una comunità civile ci sono regole, e per estensione leggi, a cui sarebbe ingiusto sottrarsi.

In sintesi si potrebbe dunque affermare che laddove l’infrazione e le conseguenze del caso riguardano unicamente noi, allora si può scegliere di abbandonarsi all’avvolgente abbraccio della cupidigia. Di indulgere nel vizio. Di condannarci alla perdizione eterna. Oppure di complimentarci con noi stessi per la piena assoluzione conseguita nel nostro personalissimo tribunale di giustizia.

Per esempio, in merito alla vaschetta di gelato al cioccolato ubicata in frezer ieri sera e che non escludo potesse essere mezza piena, la stessa che oggi risulta dispersa e presumibilmente vuota, alla luce della recente presa di posizione riguardo la riduzione del consumo di dolci da parte della mia persona, signor giudice, io mi dichiaro innocente.

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