La mia prima intervista doveva essere una chiacchierata. Qquindici minuti. Pensavo di essere sveglia, eppure non ho realizzato che si trattasse della mia prima intervista fino alla fine della telefonata. Quando per uno strano caso di lapsus, ho detto cavaliere al posto di pistolero @.@
Non mi piace molto stare al telefono. Se da un lato permette di mascherare le reali emozioni, dall’altra nega la possibilità di un sorriso o di un cenno di incoraggiamento. Gesti utili a sciogliere i nervi del proprio interlocutore. La potenza della prossimità fisica è formidabile.
D’atro canto, per una persona insicura, è possibile che un tête-a-tête non sia l’ideale per lenire il nervosismo. Forse è meglio avere unicamente la voce gentile e persuasiva di una persona su cui concentrarsi. Oltretutto chi lavora con la propria voce può raggiungere risultati sorprendenti. Riescono a comunicare molto di più del mero significato delle parole utilizzate.
Non credo che ci sia una modalità migliore dell’altra, di base molto dipende dall’intervistato. In effetti c’è chi per natura si sente a proprio agio a parlare di sé e non coglierebbe grandi differenze fra le due. E poi c’è chi fatica come se stesse sostenendo un esame in cui teme di fallire. Per quanto non esista argomento su cui una persona possa essere meglio preparata.
Non si può negare di trovarsi sempre sotto esame. Basta pensare al proprio lavoro dove, qualunque esso sia, ci mettiamo in gioco ogni singolo giorno.
La verità è che ci sarà sempre qualcuno pronto a giudicare quello che diciamo e facciamo, in primis noi stessi. A posteriori diventiamo brillanti nel notare come avremmo potuto risultare migliori, se solo avessimo agito diversamente. L’unica maniera di sfangarla è tenere a mente che anche gli scivoloni o le performance meno riuscite possono insegnarci qualcosa. Così come gli errori e le situazioni imbarazzanti di cui non andiamo fieri. È sempre preferibile mettersi in gioco e uscire dalla propria comfort zone piuttosto che evitare i rischi e rifuggire le occasioni di cambiare e di crescere.
A furia di provare, finirà per diventare sempre un pochino più semplice. E magari un giorno ci si dimenticherà della fatica che ci è costata adattarci. Ccome capita a tutti, per esempio, quando si impara ad allacciarsi le scarpe.
Ringrazio Livio Partiti per avermi dedicato il suo tempo. Se volete sentire la mia prima intervista, di seguito il link:
Intervista sul mio romanzo, a cura di Livio Partiti, su Il posto delle parole